Il seguente articolo è stato scritto da Bruno de Felice e pubblicatosu Display International (N.3 del 2005).
Design for Marketing
di Bruno de Felice (già pubblicato su Display International – N.3 del 2005)
Nella definizione “Design per il Marketing” è racchiusa la totalità delle attività di noi produttori di display. Noi progettiamo, produciamo, vendiamo ma i nostri sono prodotti che non hanno un marchio visibile, perchè tutto il nostro lavoro è proiettato a soddisfare un consumatore che non sarà mai quello finale; il nostro referente è in genere un manager del marketing o degli acquisti.
Il punto critico è proprio questo, siamo certi che un esperto di marketing o di acquisti abbia la cultura del design per il punto vendita indispensabile per sviluppare con il produttore un buon progetto?
La domanda sorge spontanea quando, girando nei grandi centri commerciali, c’imbattiamo in tanti display mal disegnati, progettati peggio e realizzati in modo approssimativo.
Mi chiedo come mai aziende che fanno dell’immagine l’assset principale, che commissionano a grandi architetti il disegno del loro flagship, che si rivolgono a prestigiose agenzie di pubblicità e investono cifre importanti per la tutela del marchio, poi trascurano in modo così evidente la realizzazione del materiale POP?
Mi rendo conto che pochi display sono belli e molti sono dei brutti supporti, è imbarazzante, ma mi assumo la responsabilità di questa dichiarazione e lo faccio con la certezza che, solo se abbiamo il coraggio di fare autocritica, possiamo garantire un futuro al nostro settore.
Una leggenda che bisogna sfatare è che “il display non deve essere troppo bello altrimenti prevarica il prodotto”.
E chi l’ha detto? Se così fosse varrebbe la stessa logica sia per il negozio che contiene i prodotti, sia per il packaging che li accompagna. Invece sappiamo bene che tutto ciò concorre alla formazione della “corporate identity”.
Per fortuna (o purtroppo) la concorrenza della Cina e dei paesi dell’Est a basso costo di mano d’opera, stanno cambiando lo scenario in cui eravamo abituati a muoverci, e la presenza di tanti prodotti economici richiede un improcastinabile pulizia, una “bonifica” che dovrebbe premiare quelle aziende che hanno fatto da sempre prodotti di qualità e di design.
Il problema è capire se i nostri committenti, che hanno fatto del Made in Italy e del gusto la loro bandiera, siano poi disposti a pagare il maggior costo che un’azienda italiana richiede.
In un mercato che sta cambiando e che sta imponendo la separazione tra la produzione (ormai solo nel far east) e la progettazionme in Europa, diventa fondamentale parlare di buon design, ed è per questo che desidero definire un codice d’intesa per il nostro settore; come ha affermato il Prof. Renato de Fusco, il più illustre storico e studioso del design, perchè si possa parlare di design industriale di un prodotto, ci devono essere quattro momenti fondamentali: la Progettazione, la Produzione, la Commercializzazione, il Consumo.
Queste fasi, che sono strettamente interrelate, presentano un’anomalia nei display: infatti, mentre progetto, produzione e commercializzazione seguono le stesse procedure del design tradizionale, la fase del consumo è fatta dallo stesso soggetto che acquista; ciò nonostante ritengo che molti dei nostri prodotti si possano definire a pieno diritto d’industrial design.
Vetrine, insegne, astucci, espositori, sono spesso sottovalutati nella oro peculiarità di oggetti di design, ma come si può negare, entrando in una profumeria, che esiste un mondo fatto di prodotti evocativi, affascinanti, funzionali e tecnologici che riesce a formare, a plasmare, a caratterizzare lo spazio con un’energia talmente forte che quando si è all’interno è impossibile non essere tentati dal toccare, dal provare e poi dall’acquistare?
Nel design dell’espositore ogni elemento manda dei messaggi, il materiale fornisce informazioni: con l’utilizzo del legno comunico ad esempio l’appartenenza ad una classe o categoria completamente diversa da quello che posso trasmettere con l’utilizzo dell’acciaio, che magari mi riporta ad un’idea di maggiore tecnologia.
Allo stesso modo interviene il disegno della forma che può essere dinamica o stabile, bloccata o modulare.
Infine intervengono anche i processi produttivi, quindi percepisco come cheap un prodotto mal realizzato, o come eccellente un altro la cui finitura mi sorprende e mi emozione.
Il denominatore comune di tutte queste esperienze è di tipo emozionale, e siccome il design sicuramente agisce a livello emotivo, un’emozione da buon design è un messaggio subliminale che mi fa riconoscere il prodotto all’interno di una vasta scelta presente nel punto vendita; è il progetto rotondo in cui tutto funziona e non ci sono spigoli, in cui l’emozione entra in gioco e ti regala un sogno su un prodotto che, da solo, non trasmette tutto quello che invece deve comunicare sul punto vendita il display.
Bruno de Felice, architetto, designer e imprenditore.
Titolare dell’azienda Expò, vanta clienti come Coca Cola, Telecom, D&G Time, Sector, Tribe by Breil, Givenchy, L’Oreal, Pupa, Polaroid, Fila, Ferrari profumi.
Il display progettato e realizzato per Arnette/Luxottica è stato selezionato per il Compasso d’Oro 2005.
Note: nelle immagini alcuni espositori realizzati dall’azienda Expò
Benvenuto Bruno!Grazie per aver condiviso su questo blog la tua esperienza e competenza.
Adele ti ringrazio per il benvenuto e per l'ospitalità, ti prego se puoi di cambiare flagshop con flagship è un errore di battitura che fecero anche su Display, poi magari un giorno ne parliamo perchè sono due concetti differenti.Complimenti per il blog è un bello sforzo e merita attenzione, brava.
Ops! Correggo subito!